Seduti ai piedi

Zenite – Vol. 25, n. 3-4; estate-autunno 2018

Con pochi tratti di penna e con stile l’artista artigiano scolpisce un’intera realtà secondo la molteplicità dei suoi fattori e insieme alla sua inespressa prepotenza.

Ricorda:
Se al cinema tu volessi rubare una bicicletta,
dovresti prima comprarla.
(Jaques Baratier, Confetti al pepe, 1963)

Barba baffi e cappellaccio, Giovannino Guareschi disegna una vignetta che lo ritrae a rimirare la luna, un pieno di luna che gli sorride fra un filare di pioppi. Accanto a lui, alla sua destra, un piccolo barboncino. Il cagnino gira la testa, sembra distratto da una presenza ulteriore… una presenza invisibile, indesignabile, ma che pare riguardare tutta la scena, riguardarci tutti, sempre e comunque… Senza tanti giri di parole Giovannino schizza, vignetta il sussulto estetico, saṃvega, proprio del numinoso fascinans et tremendum a cui ci hanno resi familiari Rudolf Otto e Taisen Deshimaru: “Fascino crescente / segreto e tremendo / per la grande sinfonia sentendo / il mondo dell’infinito e bello generando…”.

Quando ti alzi dallo zazen, muovi il corpo adagio… Guardando al passato, andar oltre il sacro e il profano, morir seduti, in piedi sempre dipese dalla forza dello zazen… L’apertura al Risveglio data da un dito, una bandiera… il suo compiersi grazie ad un hossu, un pugno… non sorge certo dal discriminare, né può conoscersi con un magico potere”.

Pioveva forte e nell’angolo del tetto della veranda prospiciente il boschetto di bambù, cadeva l’acqua che tracimava dalla grondaia. Il suono anomalo dell’acqua, che cadeva a scroscio sulla ghiaia del drenaggio che contorna la veranda, ha risvegliato chi dormiva nella vicina stanza. Anche Fudenji ha preso origine da un forte turbamento, dal senso di abbandono e di sgomento dovuto in gran parte al repentino assentarsi di Taisen Deshimaru Rōshi. 

Così, lo stile del Sōdō, con la sua Regola, la pratica stessa dello zazen, prendono costantemente forma da uno scarto, una sorpresa, un sussulto estetico… “Sanzen – scrive ancora Dōgen Zenji – [assettarsi nel supremo raccoglimento, samadhi] domanda un luogo quieto e propizio…”. E purtuttavia sanzen non ha propriamente nulla a che vedere con i doveri e il do ut des di questo mondo. Quando la qualità dell’azione resta incontaminata, insistendo sulla realtà-in-azione, tutto diventa Sōdo e quindi anche quella camera dove, pur riposando, si veglia all’alterarsi della voce della pioggia. Riposare, dormire, sognare non impedisce di vegliare.

Il san, 参, di sanzen e che appare anche all’inizio dell’espressione sanshi monpō – incontrando il maestro si domanda il Dharma – indica graficamente una donna ben acconciata pronta al pellegrinaggio. San, inoltre, copre una vastissima area semantica: tre, perplesso, andare, venire, visitare, incontrare, sconfitti, morire, pazzi d’amore, partecipare, prendere parte… Anche la sincerità, makoto, sei, 誠, in quanto sacramento sensoriale, dovuta ai sei organi, gen ni bi zesshin i, occhi, naso, orecchie lingua, corpo, mente evocati nella parte iniziale dell’Hannya Shingyō, procedono insieme alle sapienze pratiche costitutive dei sei sensi che, lungi dall’ingannare, s’imprimono memori drenando il sovrappiù di informazioni e di memorie. 

Una vigilanza nutrita da meraviglia e tremore anima la Regola del Sōdō e fa d’ogni singolo comportamento consumato, salvezza e attualizzazione. Le maniere consumandosi e non indugiando passano alla libertà, ovvero si liberano attualizzandosi! E, trascorso mezzo secolo, il cagnino di Giovannino Guareschi ha solo infittito il suo sguardo.