Zenite – Vol. 23, n. 3-4; autunno-inverno 2016-2017
Un supplemento d’esercizio modello di un’intera vita. Zazen shikantaza, un segreto inadatto a gente indaffarata che non sopporta il gelido peso della leggerezza.
Alla sera del quinto giorno, seduto sul trono nella postura dell’abbondanza e dei buoni auspici, mentre il discepolo vi gira intorno tre volte, il Maestro Precettore recita:
Dai nichi Nyorai, sul trono assiso,
steli, corolle, fiori,
a lui intorno appaiono Loti
miriadi di Shaka.
Sette giorni come un unico giorno e motivo di festa la celebrazione della Grande Consegna, una traiettoria segreta e pubblica insieme. Una settimana che richiama e obbedisce ad un’ulteriorità folgorante, kegyō 加行, ed espressione d’un sacro timore reverenziale, dell’aria divina, del divino che origina il culto e la devozione, eusèbeia, quella parola che l’Imperatore indiano Ashoka nel 250 a.C. usò per rendere la nozione di Dharma nei suoi Editti.
Giorni teatro della Consegna del Dharma, Dempō. Voce del gelo, voce silenziosa che s’alza dallo zazen e voce che può udirsi solo dal trono del regale samadhi, Ōzanmai. Insieme, voce che ascolta il pianto del mondo, voce dell’onda, voce d’eterna memoria. Faccia a faccia, menjū jūmen, maestro e discepolo s’incontrano, si guardano da capo a piedi e nasce l’uomo nuovo, per l’eternità. I bordi dei loro zagu sempre pronti a sovrapporsi e combaciare – prima l’uno sopra, l’altro sotto, dopo, l’altro sopra, il primo sotto. A partire da quell’istante quell’unicum, non uno né due, ri-guarderà entrambi, per sempre dal remoto passato al futuro remoto.
Rivestito dal gelido peso della leggerezza l’antico uomo nuovo muove, apprende e sa prendere la parola, quale segreto che discende dai cieli, dalle acque celesti. Dal vuoto seggio d’ogni realtà, nel dōjō, prende la parola, dōtoku, una parola inintenzionata, senza destinatari, perché solo nel segreto lo Spirito si consegna e tramanda. E come Shaka, il primo re degli Zulu, muore senza eredi consegnandosi così all’intero suo popolo, anche Deshimaru Röshi, il Primo Patriarca d’Occidente, se ne va senza designare alcun discepolo. Adesso tanti ne parlano come del loro Maestro: un popolo! Il suo Dharma, la sua eredità ha prolificato attraverso altri! Nessun codice basterà mai a comunicarlo! Shakyamuni Eterno, Kuon Shaka, l’uomo d’acciaio, di gelo. E in questo gelo, benedizione e grazia ti siedono immobile. Zazen shikantaza, un segreto troppo evidente, inadatto a gente indaffarata e distratta. Quindi, niente distrazioni, scuse, discussioni o mercanzia del genere.
Noi “ci rifiutiamo di discutere sull’esistenza di Dio. Per noi Dio esiste[!]” direbbe Giovannino Guareschi, o anche: “Ragazze? No, niente ragazze. Se si tratta di fare un po’ di baracca all’osteria, una cantata, sempre pronto. Niente altro, però: io ho già la mia ragazza che mi aspetta tutte le sere vicino al terzo palo del telegrafo lungo la strada del Fabbricone”. Fedele segreto si tramanda e si consegna dall’Ovest all’Est, dall’India alla Cina e poi al Giappone, fino al Sōdō di Fudenji dove, appresa la Parola, vestiti, abitati dal gelido peso della leggerezza, solo sediamo seduti. Una vita intera spesa in un respiro ripuntando ogni vincita, pronti a perdere tutto. Nient’altro però… Senza discussioni, quindi, non-sostanza, muga, ma solo contorno, ornamento e decoro.
Del resto, un resto – un certo residuo – resterà comunque e di conseguenza: come potrà davvero un discepolo ringraziare un Maestro, un figlio il Padre, il ministro il Signore? Questo faccia a faccia, menjū – jūmen, solo contorna. Il resto resta mistero. Ineffabile mistero, un destarsi, Risveglio senza oste né ospite, mushigo.