Zen Notiziario – n. 18 – 1991
Dōgen Zenji nel capitolo Shōji dello Shōbōgenzō dice:
Questa vita (nascita) e questa morte1 sono la vita del Buddha.
Ogni insegnamento, oppure l’Insegnamento, la Verità espressa dal Buddha, può essere sempre ricondotto a questa espressione.
Anjin è la pace dello spirito, o anche la pace della mente. Ordinariamente noi ci muoviamo come per realizzare un certo disegno, una pace o una soddisfazione che risponde a un certo disegno. La nostra particolarità fa sì che lasciamo costantemente qualcosa o qualcuno al di fuori di questo disegno: questo riguarderà sempre e comunque qualunque uomo, ovunque possa nascere, crescere e morire.
Abbiamo un modo curioso di definire i nostri sforzi, quello che a volte chiamiamo la nostra pratica, la nostra Via, che è anche la nostra vita e in un certo senso anche la nostra verità. Pensiamo di doverci prodigare perché si realizzi una certa Unità o perché, ad esempio, da un certo tipo di conflittualità ci si muova verso la pace, o per realizzare una certa pace. In realtà, la verità di questa pace o anche di questa Unità già esiste in noi come ovunque: noi non siamo mai separati da questa vita né da questa morte.
Quando diciamo unità, o quando diciamo pace, già, immediatamente noi creiamo un altro essere al di sopra e separato da questa pace o da questa Unità. Leggere la Storia o interpretare il divenire dell’uomo dipendono invariabilmente dal dualismo – scoria – che ci portiamo appresso e da cui non possiamo separarci.
Costantemente, chiarire lo spazio in cui si gioca questa vita e questa morte è la vita del Buddha, altrimenti detta: la nostra vita viva che nel divenire – quello che noi chiamiamo “impermanenza” e che da altri è chiamato “la storia” – appare o si manifesta in quanto opportunità vitale o totale attività del momento. Prodigarsi per la pace è inseparabile dalla capacità di apprezzare una reale pace che è in noi e che in ognuno di noi dev’essere masticata e digerita. Noi non possiamo ignorare nessuno; nessuno, nemmeno la guerra e il conflitto che sono in noi, sottili, insanabili come la frattura tra il nostro mondo ideale e quello che apprezziamo o valutiamo come realtà.
Già – da sempre – tutto vive in pace ed armonia: ogni cosa ha il suo buon diritto d’esistere. Quando guardiamo a questo vasto panorama, tutto, alberi montagne fiumi uomini collera ansia amore, vive in pace e in armonia. Da questa terra noi possiamo prodigarci in questo mondo di uomini. Da questa terra che chiamiamo la terra del Buddha infaticabilmente spendiamo le nostre vite con ed insieme a tutte le esistenze (esseri viventi e non). Questo è ciò che noi chiamiamo la nostra pratica o anche la nostra Via, meditazione seduta o semplice postura del Risveglio. Pace non è semplicemente un argomento di discussione; quando ci attacchiamo a un’idea noi creiamo sempre un problema, anche se questa idea è la pace.
Così Gotama il Buddha sedette ai piedi di un grande albero morto sotto il sole ardente, mentre il re del vicino regno del Maghada marciava verso la sua terra, assistendo così alla distruzione della sua gente. La pace reale ritornava così a lui perché nessuno aveva potuto accettarla: fondare o trovare il proprio io, chiedere o ricercare (Kyū) il Sé autentico è il luogo o lo spazio dell’assoluta pace.
Essere per la pace o contro la guerra – rimuovere il conflitto – non è che separarsi dal nostro Sé e creare un essere mostruoso, un fantasma a due teste. In piedi – ben diritti sui nostri piedi su quella terra di pace vera – senza nulla trascurare od ignorare, entriamo prodigandoci infaticabilmente in questo mondo d’uomini: i limiti della nostra vita non sono cattivi, ma semplicemente vuoti, si modellano in ogni forma e colore…