Zen Notiziario – Vol. 10, n. 3; 2003
Nessuna resterà all’inferno, alla piovra rispunteranno le ossa, anche le lumache avranno uno scheletro. Sampai è molto importante. In tutte le religioni l’essenza è la stessa. Se fate Zazen, vestite il Kesa e praticate sampai – la prosternazione – appariranno certamente infiniti meriti.
Dōgen Zenji dice: «Sampai è lo stesso shōbōgenzō». La fine del sampai significa la morte di Buddha. Zazen è l’essenza del Buddha-Dharma, ma allo stesso tempo dobbiamo osservare la pratica della profonda deferenza, cioè sampai.
Sampai significa l’oblio dell’io, abbandonare l’io, liberarsi di sé; ed è la vera postura del Buddha. Attraverso sampai ci si riunisce, si diviene unità con l’autentica santità, con il Buddha vivente, il dio vivente. Fare sampai davanti al Maestro vuol dire essere uniti al Buddha ed è questo il vero Shihō, la vera Trasmissione. Alternare l’esercizio di sampai e del kin-hin incarna la postura di Buddha Shakyamuni. Fare sampai come oblio di sé e kin-hin come espressione massima della dignità propria, incarna l’esercizio della postura di Buddha Shakyamuni.
Gettare, lasciar cadere a terra il proprio corpo ha un profondo significato”.
(Commenti di Deshimaru Rōshi allo Shukke Kudoku)
Vorrei qui richiamare alla vacanza. Taisen Deshimaru invitava alle vacanze spirituali. In treno, seduto accanto a una signora che telefonava parlando ad alta voce, ho inteso come questa non avesse ancora visitato la Spagna: esprimeva il desiderio di trascorrere i suoi quindici giorni di vacanze girando da una costa all’altra.
Mi viene naturale pensare alle vacanze scolastiche, ma anche alle vacanze che ho sperimentato qualche anno più tardi partecipando ai campi estivi di Deshimaru Rōshi. I primi tempi si trattava di passare solo 9/10 giorni, un turno, ma i turni erano diversi. Poi si trattò di passare quasi un’intera estate. In questa calura estiva mi viene alla mente il tempo degli Zazen serali di fine luglio e di agosto. Le giornate incominciavano ad accorciarsi… il Maestro insegnava nel Dōjō affollato.
L’immobilità delle posture…decine, decine, centinaia di posture immobili, mentre il corpo traspirava abbondantemente. Un’emozione profonda, intensità, spazio ed intensità, concentrazione. A volte il Maestro, vedendo che la tensione e forse la concentrazione erano eccessive, raccontava qualche aneddoto e l’intero Dōjō non poteva trattenere le risa. Quindi si passava dall’immobilità dello Zazen ad una risata generale. Poi il Maestro riprendeva i suoi commenti. Finalmente l’ultimo Zazen del giorno finiva e calava la notte: qualcuno indugiava; qualcuno si apprestava al riposo notturno, qualcuno si intratteneva con lo stesso Maestro fino a tarda ora.
La mattina successiva di buon’ora, di nuovo, tutti immobili, seduti, quando non faceva ancora giorno. Vacanze spirituali. Release and joy.
Proprio in questi giorni, a Fudenji, dopo lo Zazen del mattino presto, all’inizio del samu, quando i primi raggi di sole arrivano a lambire il laghetto di ghiaia, ecco il ricordo di un’atmosfera lontana: vacanze scolastiche. Questa volta, però, la chiarezza e la trasparenza che sperimentavo da bambino e da adolescente appaiono nel cuore stesso dell’azione, nel cuore stesso del lavoro, dell’opera. La vacanza è l’ultima essenza dell’opera generosa. Prima dell’avere e ancor prima dell’essere c’è solo un puro darsi, un puro donarsi.
Preparando questo Kusen, consultando i testi di Deshimaru Rōshi, non ho potuto fare a meno di essere colpito dalla poesia di cui il Maestro era capace, parlando della sofferenza.
“Il potere è effimero. All’abbondanza succede la malattia. La gloria non dura che un istante. Le cose cambiano. Ogni cosa è vana, svanisce in un istante. Vivere è a volte difficile. Invecchiare. Più ci si avvicina alla morte, più si soffre. Essere separati dalla propria famiglia, da quelli che si amano, provoca sofferenza. Ci si ama profondamente, ma che continui è raro e per pochi. Ci si odia e ci si vuole separare. Amandosi è impossibile pensare a una separazione. Tutto è sofferenza.
Se non si può ottenere quel che si desidera, si soffre. «Senza sosta – dice Dōgen Zenji – le otto porte della sofferenza (quelle relative alla nascita, alla malattia, alla vecchiaia, alla morte, all’essere vicino a persone che non amiamo, al sentirsi separati da chi amiamo, all’impossibilità di realizzare i desideri) appaiono e non si possono chiudere, ma questi desideri possono cambiare in un istante». In un giorno si nasce e si muore migliaia, miliardi di volte”.
Quest’ultima considerazione è volta a spiegare l’ottava condizione della sofferenza. Uno schioccare di dita, 65 istanti sono contenuti. Quanti sono gli istanti in un giorno intero? Dōgen Zenji valuta, a partire dalle Scritture, che miliardi e miliardi di volte c’è composizione e decomposizione nel nostro corpo e nella nostra mente. Questa è la sofferenza della decomposizione di ciò che è composito, una sofferenza molto sottile, che è impossibile apprezzare a meno che si impari a sedere profondamente concentrati nello Zazen. “Il tempo non sciupare ch’è rara la forma umana, preziosa mantiene del Buddha la Via. Chi della scintilla invano proverà piacere? Forma, sostanza, rugiada su un filo d’erba del destino lampo istante vano brilla” (Fukanzazengi).
Zazen vi permette di porvi nel cuore di questo divenire, non subendolo. Ecco il luogo della vacanza. Nel cuore della fatica, dell’opera, c’è questa distensione, lo svago profondo, la vacanza.
Mi piacerà condividere con voi, durante il campo estivo, il silenzio, l’intensità, la concentrazione del nostro Zazen.
(Kusen del Maestro Taiten al Dōjō di Milano – 10 luglio 2003)