Lo stato del dare

Intervista a Cesare Barioli

“Catturato dall’idea del Judō” da oltre 40 anni, il Maestro Cesare Barioli ne insegna l’arte al Busen di Milano, la palestra che ha posto le basi formative di alcuni tra i maggiori judoisti italiani ed è nel contempo, lungi da ogni ostentazione e seriosità, cenacolo culturale, luogo di approfondimento e di dibattito di grande ampiezza e levatura… Qui al Busen è avvenuto l’incontro tra Deshimaru Rōshi, per la prima volta a Milano nel 1968, e il Maestro Taiten Guareschi, che era allievo del Maestro Barioli.


D. – Qual è la base dell’educazione?

R. – L’educazione ha fondamento nella morale. Di quest’ultima ce ne può essere una sola, non ce ne possono essere diverse. Il contrario di un’educazione universale è un’educazione di gruppo. Perché l’educazione dell’essere umano si rivolge a tutti. In questo finora le religioni hanno sbagliato, promuovendo un’idea di parte. “Devono smettere di dividere e cominciare a unire” (Hans Kung). Occorre una religione dell’umanità che propagandi l’ideale dell’umanità. Questo ideale è stato estratto dalla cultura, cioè dall’esperienza del passato, ed espresso con parole semplici da Jigoro Kano: “Siamo qui tutti insieme per crescere e progredire con il miglior impiego dell’energia”, cioè intelligentemente. Questa può essere una base.

Quando avremo convinto i nostri giovani ad essere tutti insieme per crescere e progredire, dopo se li potranno contendere le religioni, le etnie, le politiche, alla ricerca di un perfezionamento di questo ideale e facendo sì che si litighi per l’affermazione delle idee come è giusto, ma non ci si ammazzi più. Perché il senso sociale il bambino ce l’ha dentro di sé: se noi mettiamo insieme dei bambini arabi, ebrei, bianchi e neri, comunisti e fascisti, dopo un quarto d’ora giocano insieme: vent’anni dopo, essendo stati ‘educati’ da certi gruppi, forse si ammazzano. Allora: potenziamo quel senso sociale e combattiamo l’ego, nel bambino. Solo a vent’anni permettiamo la scelta di un gruppo a cui appartenere. Perché speriamo che entro i vent’anni l’essere si sia formato in maniera da non ammazzare il prossimo. Si litighi pure, perché l’affermazione delle idee deve andare avanti col contrasto, con tesi, antitesi e sintesi; basta che si smetta di ammazzare, stuprare, distruggere e di fare le cosine poco graziose a cui i giovani ambiscono perché si sentono di appartenere a un gruppo.

Il contrario dell’umanità è il gruppo. Nel momento in cui apparteniamo a un gruppo, ci siamo messi fuori dall’umanità. Allora il pilastro dell’educazione è questo naturale senso sociale di giocare insieme, andando a vedere com’è all’origine nel bambino, e potenziandolo. Sapendo bene che c’è un bene e un male, noi chiamiamo ‘bene’ il senso sociale e ‘male’ l’ego. Potenziando il senso sociale e limitando l’ego abbiamo una speranza di educare un’umanità nuova.


D. – Quindi il compito dell’educatore è quello di creare o favorire tutte le condizioni perché questo avvenga?

R. – Sì, però deve purificarsi, perché l’educatore deve aver presente che ha ricevuto un’educazione sbagliata. Per noi ‘purificarsi’ significa raggiungere lo stato del dare. Non un flusso, cioè uno che dà una cosa e quindi è soddisfatto. Lo stato del dare significa essere nello stato del dare anche quando si dorme e anche quando si fa pipì. Un uomo buono è sempre buono anche quando è alla toilette; mentre uno che va a Messa e fa la carità sul sagrato, produce un ‘flusso’, che non vuol dire niente, può darsi che lui sia buono o che non lo sia. Flussi di pensiero: un prodotto, un gesto; i flussi non intervengono, non modificano, non esistono nell’universo. L’universo è fatto di flussi; ce ne sono dovunque. Se uno non fa un flusso, qualcun altro riempirà il vuoto e ne farà un altro. Se non do le diecimila lire a un povero, forse quello morirà; va bene, è un flusso morire, lo è anche dare diecimila lire a un povero.

Lo ‘stato’ è un’altra cosa: io sono alto 1.71, e sono sempre alto uguale, è uno stato. Io sono un maschio e sono sempre un maschio; non ho mai chiesto: “Per favore, cinque minuti adesso mi lasciate riposare, sono femmina”. Se io sono buono o raggiungo lo ‘stato del dare’, sono sempre nel sentimento di dare.

Questo intendo per purificazione o autorealizzazione, attraverso lo stato del dare, perché abbiamo in programma di dare per crescere, e crescere per dare di più. Allora non chiedo a tutti di essere educatori: chiedo a tutti di raggiungere lo stato del dare, arruolandosi a combattere per la prosperità del mondo. A combattere quattro nemici che sono: ignoranza e abitudine, noia e invidia i quali si travestono, si modificano, diventano gelosia, fanatismo, ignavia, intolleranza, ecc. Ma il motivo per cui siamo ancora guerrieri è combattere questi quattro nemici. La nostra arma è questo stato del dare, che peraltro è molto leggera e ci permette di muoverci agevolmente.

L’immagine del guerriero è un essere spoglio che ai piedi ha scarpette di gioia, sulla spalla sinistra una spada d’amore, che si sfodera solo per colpire, e nel cuore uno scrigno per riporvi i doni che gli verranno dati. Questo modello di guerriero che prende direttamente l’energia dall’universo non ha bisogno di salmerie. Ha il più ampio spazio d’azione, perché non possiede nulla se non il corredo indispensabile. E può agire nell’area più vasta, scegliendo una direzione.

Per essere così occorre rinunciare a possedere. Questo oggetto me l’ha dato mio padre, apparteneva a mio nonno… Ignoralo, non considerarne il valore antiquario o affettivo, ma solo se ti è utile per dare. Se non ti serve e lo dimentichi. qualcuno lo troverà ed avrà la sua storia. Non dimenticare un gattino, la vita, che magari non se la cava; butta un anello, che se la cava sempre. Mal che vada, perde la forma che un uomo gli aveva dato. Ma l’artefice che vuole perpetuarsi nel futuro attraverso un materiale, si inganna; il vero valore è il contenuto dell’opera, che non ha artefice, perché il pensiero è universale.


D. – Dunque ogni educatore deve avere questi requisiti e chiarirsi questi punti.

R. – Sì. Per esempio, si può recitare: “Non ho una moglie, ma sto con una donna; non possiedo figli, ma allevo dei bimbi che amo; non ho casa o macchina, ma ne uso una, e se ne voglio una più grossa, vuol dire che mi serve per fare meglio. Ma non possiedo niente.” Compreso questo, si usa tutto l’universo. Dopo di che si diventa educatori.


D. – Questo richiede comunque un lavoro continuo?

R. – No. perché raggiungi uno stato. Quando hai raggiunto lo stato, non te ne preoccupi più. Oppure sì, perché quando hai raggiunto lo stato ne vuoi un altro. Non è bella quella espressione: ‘lavoro continuo’; non vorrei lavorare per sopravvivere, ma fare per vivere; e vivere con continuità, certo, non a momenti.


D. – E come far nascere in noi una nuova persona?

R. – Sì, ma ‘nascere’ ha sempre un carattere di eccezionalità. Pensa piuttosto alla modificazione: tu ti modifichi in una certa maniera. Se ti cavi gli occhi, sei cieco; se ti tagli le braccia, sei monco e con un solo colpo puoi raggiungere questo stato. La meditazione serve a raggiungere gli stati. La meditazione Zen cerca uno stato assoluto, e questo è molto difficile. Noi usiamo delle meditazioni parziali, per esempio: ‘gioia, per raggiungere una quotidianità gioiosa; ‘serenità’, per raggiungere quello stato. E dietro i concetti c’è un mondo. Devi immaginare il mondo delle idee. Qui da noi le idee si corrompono.

Per esempio, nel Judō noi abbiamo bisogno di purezza per fare ippon (azione conclusiva del combattimento). Purezza cos’è? Non commettere atti impuri? No: è non avere contro intenzioni. Ma questo lo scopri se guardi verso l’idea. Sincerità: non dire le bugie? No, no. Sincerità è essere totalmente dentro fare. Purezza e sincerità sono meditazioni che si fanno nel Judō e servono a fare fare ippon.

Nella meditazione ti avvicini all’idea. Se però l’idea ti prende, non sei più libero e miserabile come un ronin (uomo dell’onda), ma diventi un nobile samurai (uomo che serve). Se l’idea ti chiama, ti prende dentro di sé, non sei più come prima, sei servitore di un’idea, perché l’idea è troppo grande. Sei innamorato. Grazie al cielo le idee chiamano raramente gli esseri umani. Da parte dell’essere umano c’è solo lo sforzo di contemplare l’idea, che non è particolarmente coinvolgente perché non ne diventi servitore.

Quando il signor Abe ha scritto sul tovagliolino di una pizzeria: “Oggi in Giappone è la festa della luna: oggi un allievo ha trovato il maestro. Quando la luna è alta nel cielo, guardala e noi saremo insieme”, mi ha teso un tranello: io ho guardato la luna e sono stato catturato dall’idea del Judō. Ci ho messo dieci anni, a comprendere che avevo ricevuto la Trasmissione, ma il Signor Abe giocava con il tempo.


D. – Mi sembra una prospettiva molto bella.

R. – Tutto è bello. Fuori dall’idea è bello: raccogli francobolli, corteggi le ragazze, una o cento…, sei più piccolo. Dentro l’idea è bello: corteggi ancora le ragazze, ma è un ménage à trois, perché c’è l’idea. Qualcuna non lo sopporta, ma qualcun’altra è entusiasta di vivere l’Avventura della vita. Piccolo o grande, può sempre essere bello. Bello o brutto lo fai tu. Deshimaru diceva: “Ah, se non fossi così impegnato, correrei dietro alle donne tutto il giorno!”, ma in realtà aveva un gran piacere di stare con le donne e di condividere con esse l’idea.


D. – Anche lui era “catturato”?

R. – Sì, infatti ci siamo trovati per questo: ci siamo strizzati l’occhiolino e ognuno è andato per la sua strada, ma col riguardo di farci un regalino ogni tanto. E altri sono catturati. È bello essere signorine, è bello essere sposate. C’è un’epoca in cui sei così e un’epoca in cui sei cosà, è tutto bello o tutto brutto: che senso ha? È ku, l’ultima pagina di Miyamoto Musashi: c’è qualcosa da fare e la si fa. E così quando sei catturato fai le stesse cose di quando non sei catturato, ma con una direzione in cui andare. (…)

Posso regalarti, concludendo, una poesia?


Testamento

Non voglio togliermi il judogi!
Non spogliatemi per ricoprirmi di fiori!
Sarà bello l’ultimo pensiero.
Sarete voi, chini sul mio corpo,
l’ultima immagine. E poi
colonne di nuvole dell’eternità
e la coscienza che si spegne
volgendosi indietro.
Ma io sarò nei fiori, nei cieli,
nei mari, nelle rocce,
dove già erano i miei fratelli.
Sarò nelle carezze, nelle grida,
nelle bombe, nelle veglie,
nei desideri d’amore.
Maggiormente sarò nella tua solitudine,
sorriderò tra le lacrime della tua fierezza,
brucerò un poco, per scaldarti, ogni mattina.
Solo la vita ci separa: dopo,
nella terra, saremo sempre insieme.