Luna quieta dell’ombra

Zen Notiziario – Vol. 11, n. 1; 2004

Nella luna quieta dell’ombra
Dimentico siedo tra i pini
Mentre s’ode sommesso
Il pianto del cielo. 

Nello Zen l’agire umano consiste principalmente nell’azione del pensare (della coscienza), nell’azione del sentire (sensibilità, percezione sensoriale), nell’azione della parola (o dello stare in silenzio) ed infine nel comportamento, nello sforzo, nella condotta del corpo.
(Taisen Deshimaru Roshi) 

Ogni azione può ricondursi a quattro differenti modalità: pensare, sentire, parlare e agire; l’ultima è particolarmente importante perché è la condotta morale – quella del corpo, che è coscienza incarnata enattiva.

Durante il Kin-hin è difficile mantenere l’equilibrio necessario all’incedere lento del passo. Kin-hin non solo conferisce eleganza e stile, ma nel contempo agisce sul sistema nervoso centrale calmandolo, mentre riequilibra il sistema nervoso autonomo.

Quando si cammina, come quando sediamo, è importante il tono, la tensione della nuca.

Apparentemente immobili, rientriamo il mento e diamo forza all’intera postura, tenendo i denti ben chiusi, senza serrare la mascella.

Entro certi limiti possiamo separare quel che avvertiamo pensando e quel che avvertiamo sentendo con i nostri sensi. Anche parlare, o ascoltare, è un ulteriore modo di agire. Il quarto modo – che integra i tre precedenti – è irriducibile ad una delle tre modalità del pensare, sentire e parlare.

Disattiva e attiva, attiva e disattiva, la coscienza è quieta come sedendo al riparo degli ombrelli dei pini, mentre splendida brilla la luna e sentiamo la pioggia cadere.

I sensi sembrano non funzionare, ma sono invece molto vigili. Inconsapevolmente possiamo avvertire anche l’impercettibile, come il ticchettio dell’orologio appeso nel Dōjō, o là dove le condizioni lo consentano, la cenere che cade dal bastoncino d’incenso che brucia. Oggi tutti leggono, vanno a scuola, guardano la TV, vanno al cinema, alle prime visioni, leggono giornali. È molto difficile rimarcare il giusto rilievo. Tutto diventa indifferente. Nessuno crede quando il Maestro dice “Zazen è la postura del Buddha, del Risveglio”. La mente è occupata da altri interessi.

Buddha, Risveglio, Perfetta Sapienza equivalgono a qualunque altro termine che progressivamente ha perso il suo significato. Nel Sutra del Loto la parabola della terra arida è narrata da Buddha ai suoi discepoli.

“Il tesoro del Sutra Loto del Buon Dharma è nascosto in profondità e molto lontano, dove nessuno può raggiungerlo” e solo chi lo ricerca come “un uomo che bruci di sete e brami dell’acqua”, senza risparmiare gli sforzi, grazie alla benevolenza del Buddha può sperare soddisfazione.

“Bisogna ritornare al punto originale. Ristabilire la destinazione iniziale dell’essere umano. La collera perturba il fegato, il sistema nervoso autonomo e quello centrale. Il corpo influenza sempre la mente. Lo spavento invece agisce prima sul respiro e poi sui reni. L’eccitazione produce disordini cardiaci. Nefaste sono tutte le sensazioni forti. Zazen permette il ritorno alle condizioni normali. Una postura paurosa od arrogante crea un effetto nefasto sulla mente. Zazen è la postura più elevata”.

Si parla per nulla, si discute per nulla, si litiga per nulla. Nella tranquilla concentrazione dello Zazen questo diventa evidente di per sé. Tutto appare incredibilmente esagerato, inutile, o sciocco, ma non ci turba. Non possiamo apprezzare pienamente l’espressione “Zazen è la postura più elevata” se non abbiamo fatto l’esperienza dell’eccitazione, della paura o della collera, e di come queste passioni perturbino il nostro animo e il nostro corpo. “È il corpo che influenza la mente o la mente che influenza il corpo? C’è interazione, ma la postura viene in primo luogo ed esprime fortemente lo stato mentale. È noto, inoltre, che è più efficace esprimere il proprio sentimento con l’aiuto dei gesti.

L’educazione del cervello alla conoscenza, al sapere intellettuale è importante, ma bisogna capire che tutte le cellule del corpo pensano e possono essere riequilibrate durante lo Zazen.

Bisogna ritornare al punto d’origine dell’essere umano, prima della condizione umana, prima della preistoria, dell’uomo di Cromagnon. A quell’epoca gli uomini non parlavano, ma possedevano senz’altro uno spirito santo e religioso, erano capaci di una vita religiosa.

Alla morte di un congiunto si prosternavano e piangevano il defunto. Questo prosternarsi è il vero gesto religioso, la prosternazione è l’inizio proprio della religione come del resto lo è Zazen; è a questo punto che dobbiamo ritornare”.

Nello Zazen è possibile osservare involontariamente, inconsciamente, profondamente la propria soggettività.

È come quando guardiamo la televisione, se viene a mancare la corrente e bruscamente viene meno sullo schermo l’immagine in cui siamo coinvolti. Con stupore possiamo apprezzare di quante scatole vuote consista l’apparecchio televisivo. Quando litighiamo, quando discutiamo e alziamo la voce, siamo nella stessa condizione. È inevitabile e importante l’altro punto di vista: spegnere il televisore. La postura deve essere forte, equilibrata, energica. Lo sforzo richiesto per mantenere la postura con energia fa l’autenticità della postura. Postura vuol dire comportamento. I nostri gesti influenzati dallo Zazen devono essere giusti, appropriati, creativi, non semplicemente delle abitudini.

Anche le azioni apparentemente più insignificanti possono esprimere concentrazione, attenzione, profondità.

“I Precetti agiscono come il freno di un’automobile. Non indicano semplicemente delle norme, né si riducono a una morale, ma sono saggezza. Anche nel Dōjō dobbiamo rispettare certe regole. Al momento dell’Ordinazione tutti ricevono un nome, ed i Precetti, ed eventualmente uno Zagu, tre Kesa e una ciotola (Ōryōki). Il Maestro esorta a distaccarsi dalla famiglia e quindi rasa simbolicamente la testa all’ordinando”.

Le regole del Dōjō alle quali cerchiamo di applicarci non sono prescrizioni. Sono suggerimenti, indicazioni che, se ben esercitate, ci permettono di sviluppare saggezza, intuizione, flessibilità.

Se si seguono con riluttanza, sarà difficile penetrarne il vero senso e il nostro comportamento rimarrà formalistico, rigido, poco naturale. Nel Dōjō sediamo immobili in Zazen.

L’intera postura è insieme forza e dolcezza, concentrazione ed ampiezza. Il corpo è flessibile per mantenere una posizione immobile e gradevole.

Se coltivate l’imperturbabilità dello Zazen, acquisirete un nuovo modo di esprimervi, più profondo e incisivo.

Nei vecchi film degli anni ‘50 e ‘60, l’espressività degli attori era grande, ma la loro mimica era ridotta al minimo. Erano intensi, capaci di immobilità. In seguito, l’espressività è stata spesso confusa con l’agitazione. Gli attori del Teatro No recitano con delle maschere che hanno solo un piccolo foro per vedere. Quindi vedono quasi come dei ciechi, tuttavia sviluppano una grande sensibilità allo spazio intorno e si muovono armoniosamente con gli altri attori. Anche se non praticate a lungo, quando sedete in Zazen, godetevi l’immobilità. “Interrompete ogni movimento cosciente” dice Dōgen Zenji, lasciate spazio solo alla calma del respiro.

“In origine la prosternazione esisteva in ogni religione. Oggi gli uomini, alzando la testa, si tengono orgogliosamente in piedi, eretti e scrutano il cielo, le stelle, la luna, ma pensano troppo con il loro cervello. Questo squilibrio è all’origine della crisi dell’umanità. La prosternazione permette all’uomo di ritornare all’origine. Posando la fronte per terra è possibile riequilibrare il proprio corpo. La religione senza scienza è cieca, come disse Einstein, ma la scienza senza religione è pure incompleta, rischia la follia. Bisogna equilibrare ed armonizzare spirito e materia.

Spesso la religione stessa diventa troppo spiritualista o spirituale. La via di mezzo è importante e questo è il vero Zen, i veri Precetti. Controllare e riequilibrare il proprio corpo e la propria mente è il vero Precetto”. Il Maestro Deshimaru usava il verbo controllare non nel senso di esercitare un controllo, ma nel senso di dare importanza al comportamento del corpo e alla qualità dell’azione.

Qualunque cosa si faccia, la condotta, il modo di esprimersi attraverso il corpo, sono decisivi.

Durante Zazen non si fa ginnastica, ci si immedesima con l’immobilità. Praticare Zazen ci domanda soprattutto naturalezza, non cose impossibili. Più che serietà, ci chiede una buona dose di umorismo: ci domanda di prenderci un po’ in giro, di non prenderci troppo sul serio.

(Kusen del Maestro Taiten al Dōjō di Milano – 8 e 15 gennaio 2004)